STORIA DELLE PASTORALI TARANTINE
a cura di Aldo Simonetti
di Aldo Simonetti
La prima viene partorita all'indomani dell'Unità d'Italia. Dopo la quale, uno stuolo di musicisti conterranei si diletta a comporne svariate, sebbene quasi tutte sulla stessa falsa riga della precedente.
Il riferimento è alle pastorali natalizie tarantine, il cui archetipo reca come data di composizione presumibilmente il 1870, anno in cui viene per la prima volta eseguita in pubblico. Prussia ed Impero Ottomano sono ancora in vita, così come il potere temporale della Chiesa, benchè agli sgoccioli (a proposito, sta per avere atto quella nota a tutti come Breccia di Porta Pia) e viene altresì posta la prima pietra di Palazzo Ameglio, da cui prenderà piede il Borgo. L'autore è un capitano di artiglieria, tale Giovanni Ippolito, tarantino di origine controllata: durante i momenti di svago, a motivo della carenza di effettivi passatempi (lungi dall'immaginare l'esistenza futura di televisione, radio, computers e, tantomeno, partite di calcetto e agenzie di scommesse), il militare in questione si diletta a suonare e comporre senza velleità alcuna. Malgrado la sua non impeccabile preparazione in campo musicale, Ippolito riesce nell'intento di creare una melodia tipicamente natalizia, orecchiabile, traendo spunto dalla precedente produzione pastorale non bandistica, avente nel napoletano Alfonso Maria de' Liguori, autore del popolare 'Tu scendi dalle stelle' (1754), il suo più illustre rappresentante. Ne è testimonianza l'impiego del flicorno baritono (che funge da 'intro' alla sua composizione), stante ad imitare il suono di una zampogna.
Il motivo pastorale, analizzando la questione 'ab ovo', scaturisce dal genere letterario del dramma cinquecentesco (che perfeziona il suo sviluppo con l'Arcadia), nel quale vita bucolica ed elementi della natura ne fanno da cornice, e la sua rappresentazione viene successivamente trasferita in musica (Monteverdi sembra esserne l' iniziatore). In ambito sacro, invece, il riferimento va alle rappresentazioni della Natività, che interessano originariemente l'Italia Centrale (laddove compaiono proprio alcuni dei succitati aspetti di carattere profano, quali i pastori, la natura allo stato primordiale e le ambientazioni genuine), accompagnate da canti e musiche tipiche. In questo senso, primaria importanza assume la figura del suonatore vagante, che in gruppo, munito di zampogna, ciaramella o flauto, dispensa per le strade e le case arie sacre del Natale. L'eredità di queste piccole compagnie erranti sembra, appunto, essere successivamente raccolta dai complessi bandistici, per i quali vengono appositamente confezionate copiose partiture.
Fatta questa digressione, è opportuno asserire che ad Ippolito spetta di diritto il titolo di caposcuola di detta tradizione nella città dei due Mari. Dopo di lui, una sequela di musicisti (talora strimpellatori) si cimenta nella stesura di ulteriori brani, risultanti, il più delle volte, scarsamente originali. Nel 1880 è la volta di Francesco Battista, la cui creazione, denominata Pastorale n.1, è tra le più note e predilette dal popolo tarantino. La lunga lista passa poi per Francesco De Benedictis (con ogni probabilità, il più ferrato in campo musicale) e Giacomo Lacerenza, autore di due pastorali, ma la cui vera paternità (relativamente alla strumentazione) è da attribuire a Domenico Colucci. Seguono i vari Vernaglione e Caggiano, tutti operanti nella prima metà del Novecento.
Negli anni Cinquanta, per concludere, un piccolo 'medley' di pastorali tarantine, per conto del discografico De Siati, viene eseguito dalla Banda Città di Roma (formazione di elementi provenienti da tutti i complessi militari della Capitale) e contenente le tracce di Ippolito, De Benedictis, nonché Lacerenza: oltre a costituire prezioso cimelio (tutt'oggi presente in alcune dimore), si tratta della prima incisione su disco di musica prettamente nostrana.
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