A Cuneo, un delitto calcistico
a cura di Mimmo Ligorio
Il 2019 è iniziato, per il calcio professionistico, con due sentenze che dargli del clamoroso è dire poco, mi riferisco alle esclusioni di due club di Serie C come la Pro Piacenza e il Matera. Ma chi avrebbe dovuto vigilare, vista l’esistenza di diversi enti destinati al controllo (almeno due, Covisoc e Deloitte), dov’era? Perché dare il consenso all’iscrizione quando “la documentazione o meglio i conti non erano in ordine”? Accade così che le aziende che fanno sport, per salvare i titoli sportivi o gli ipotetici capitali sociali, sacrificano i ragazzi dei vivai col fine di mantenere attaccata la spina, ed è qui che ha luogo la vera frittata. Domenica a Cuneo si è consumato un delitto calcistico senza eguali, la Pro Piacenza è scesa in campo con sette ragazzi appartenenti alla Berretti nazionale col placet dei genitori “orgogliosi” di vederli esordire in serie C, così come dichiarato da un massimo dirigente del club, fieri di raccontare ai posteri che il proprio figliolo ha giocato titolare nei professionisti, mostrando fantomatici tabellini, omettendo di essere vittime sacrificali di un disegno calcistico al limite del criminale. Dimentichiamoci allora dei buoni propositi di crescita calcistica, di formazione, rispetto delle regole, fair play e altro, l’importante è giocare in categorie che potrebbero dar visibilità per chissà quale promettente carriera. Anche a Matera, ahimè, in una piazza vicina al nostro panorama locale ho notato enfasi, giubilo, per l’esordio della berretti nel massimo campionato, undici e più ragazzi lanciati in un campo, risparmiati solo dalla bontà (da me non condivisa) degli avversari. Certo, perché nessuno colpevolizzi il Cuneo per una partita giocata senza compiacenza, altrimenti si rischierebbe di sviare da quello che è il vero problema. Non il risultato, non fanno testo le 20 reti di differenza ma come si è arrivati a ciò, i veri colpevoli sono da ritrovare in altri contesti: in chi si rifugia in sotterfugi per salvare il portafogli mandando allo sbaraglio dei ragazzi; in chi non rispetta i regolamenti. Eppure le n.o.i.f. parlano chiaro, l’art. 48 comma 3 recita: “In tutte le gare dell’attività ufficiale è fatto obbligo alle società di schierare in campo le proprie squadre nella migliore formazione consentita dalla loro situazione tecnica”. Attenzione, dice “tecnica” e non altro. Un particolare che non può essere trascurato da una società che gioca in ambito professionistico. I titoli sportivi o i capitali societari non si salvano mettendo in campo una formazione non idonea alla categoria di riferimento, si salvano gestendo il patrimonio economico e umano in modo attento, prudente tenendo i conti in ordine, facendo i passi giusti e non più lunghi della gamba. In determinate occasioni è probabilmente meglio dare un colpo di spugna e ricominciare da zero anziché mandare al massacro dei ragazzi. Cosa potrebbero ricordare i sette ragazzi di una sconfitta aberrante, solo umiliazione e non la gioia di aver preso parte ad una gara professionistica. “L’orgoglio” dei genitori non ha valore, è la dimostrazione di un fanatismo sfrenato che mina la crescita dei ragazzi, è un sentimento egoista che evidenzia la mediocrità e la pochezza di chi non ha conoscenza di cosa significa sviluppare un progetto giovanile, ma questa è un’altra storia.
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