ORIGINE STORICA E LINGUISTICA DELLE PETTOLE
a cura di Aldo Simonetti
di Aldo Simonetti
Le ''pèttele'' (italianizzato, ''pettole'') non necessitano certamente di stucchevoli e oblunghe presentazioni. Risparmiandovi, pertanto, la classica manfrina relativa alla loro realizzazione, in questa sede verranno esposti i risultati di un'indagine storica e linguistica riconducente alla loro origine.
A tale riguardo, tante le teorie avanzate e tra le più disparate, alcune delle quali ammantate di leggenda. Quella più celebre vuole le pettole figlie della sbadataggine di una casalinga, la quale, lasciato distrattamente l'impasto del pane a fermentare più del dovuto, ne avrebbe successivamente impiegato diversi pezzi friggendoli, al fine di non dissipare cotanto ben di Dio. Credenza, questa, diffusa anche in altri centri della Lucania e del Salento.
Per quanto suggestiva, tale supposizione va scartata a priori, proprio perchè non confortata da alcuna prova documentale.
Consumate in Puglia, Lucania e larga parte della Campania, nella loro denominazione il Gigante ne intravede un'etimologia latina (volgare, si presume, quantunque lo studioso tarantino non riporti a riguardo specifiche indicazioni) *pitta (ossia, ''focaccia''), con l'aggiunta del suffisso diminutivo -ula. Tuttavia, questa tesi si sgretola dinnanzi all'assenza di reali attestazioni, malgrado il passaggio della vocale interna -i- ad -e-, fenomeno tipicamente romanzo. Secondo esimi glottologi, la parola risalirebbe nientemeno che al siriaco, un'antica lingua orientale. E non solo: anche nell'indoeuropeo (la prima lingua parlata dagli abitanti del Vecchio Continente e ricostruita nell'Ottocento) si riscontra una radice *pi-tu (cibo), che, oltre a pettola, avrebbe dato esiti molto interessanti quali l'inglese ''food'', i sostantivi italiani ''pietanza'' e ''pizza'' nonchè il greco ''pita'', quest'ultima di solito gustata assieme al notorio kebab. Pertanto, trattasi di termine generico, riadattato in regionalismo.
Non esistono testimonianze attendibili (scritte ed orali) circa la loro collocazione nell'ambito delle festività natalizie, nè sul perchè tra i due Mari sanciscano l'avvio delle medesime proprio nel giorno dedicato a Santa Cecilia. Ciononostante, sulla scorta di generiche informazioni, di carattere antropologico, non è affatto pericoloso abbozzare qualche ipotesi. In primo luogo, si può supporre che, in occasione del Natale, il popolo minuto, potendo disporre soltanto di poche ed essenziali risorse (come acqua e farina) festeggiasse a tavola con suddette frittelle, allora già considerate pietanza 'impegnativa', in virtù dell'elevato prezzo dell'olio d'oliva. Quanto al 22 di novembre, quale data designante l'inizio del lungo ciclo di celebrazioni, occorre far ricorso al temperamento giocoso dei tarantini. Amanti delle feste e della musica, questi avrebbero così concesso alla santa e martire romana l'onore di inaugurare annualmente il periodo di ricorrenze legate alla natività.
A latere, la pista che ricondurrebbe ad una derivazione greca, per via di un'analogia con la tradizione culinaria ellenica: ivi, per l'appunto, compaiono i 'loukoumàdes', palle di pasta lievitata e fritta imbevute nel miele, molto somiglianti per la loro foggia alle nostre pettole. Ma è decisamente impraticabile. Difatti, la loro provenienza è presumibilmente turca, e quindi introdotti nel periodo di dominazione ottomana, di gran lunga posteriore all'età aurea della Magna Grecia nonchè a quella bizantina.
2014-Riproduzione riservata
Commenti