Danza

La breve e maledetta vita del cantante di Salsa Hector Lavoe

29.04.2015 07:36

https://www.buonocuntosrl.it/

LA VOZ Hector LavoeIl compositore Domingo Quiñones ha detto: “Nell’opera si tratta di piangere e ridere perché così era la vita di Hector, non ebbe mai un equilibrio perfetto, non era mai neutrale, era o ridere per non piangere o piangere.” Il 29 giugno del 1993, ancora quarantenne, muore Hector Lavoe, il più grande cantante di Salsa del mondo. Cinque anni prima si era gettato dal balcone di una stanza d’albergo riportando gravi disabilità che lo resero incapace di cantare. Si è discusso molto sul perché del disperato gesto suicida, sulla sua dannata vita, sulla sua morte. E’ il 7 maggio del 1987. Tito Junior, il figlio nato dalla storia con Nilda Roman, muore con un colpo di pistola mentre giocava con le armi insieme ad un amico. Il cantante Tito Nieves a tal proposito ebbe a dire: “Quello che lo distrusse, che gli uccise il cuore, fu la morte di suo figlio... Hector Lavoe fu presente in carne ed ossa, però la sua anima morì.” Chi è Héctor Juan Pérez Martínez, detto Lavoe, la voce? Il “John Lennon latinoamericano”? Hector ha avuto una vita tanto tragica quanto maledettamente straordinaria coinvolgendo nella sua parabola ascensionale (e viceversa) i più grandi protagonisti della grande cultura coreutica latina del pianeta, la Salsa. La sola figura artistica del cantante riempie intere pagine di musica latinoamericana. Anche se non è fuggito al suo destino, la vita lo ha condannato, per ogni grande successo c'è una tragedia dietro l’angolo ad aspettarlo. Nel 2002 Nilda Roman "Puchi", la moglie di Hector, viene intervistata per la realizzazione del film “El Cantante”, diretto da Leon Ichaso, pellicola dedicata alla vita dell’artista. Tralasciando la critica cinematografica più o meno graffiante, il film ha mostrato, con le immagini, uno spaccato di vita del cantante alle prese con la musica e la droga, con il sesso e l'alcool. Padre assente, marito infedele, eterno ritardatario. Una persona depressa, tossicodipendete, malato della musica che portò alla ribalta. Fu proprio un uomo così negativo? Durante gli anni settanta, un genere musicale chiamato Salsa, esplode per le strade di New York ed Hector diventa l’emblema del nuovo sound, infiamma la gente con la sua voce. Per poter mantenere la famiglia a Portorico, suo Paese natale, nei primi anni sessanta si trasferisce a New York, soprattutto per sfruttare la voce ereditata dalla madre morta quando era bambino. Qui conosce Willie Colon, già celebre trombonista, e comincia con lui una stretta collaborazione e di amicizia. Sono molti gli album che producono insieme tra il 1967 ed il 1973: “La gran fuga”, “Cosa nostra”, “Lo mato”, “El juicio”. Dal 1969 in avanti, l’etichetta newyorkese indipendente FANIA inizia a produrre i grandi artisti “latini”, Hector e Willie rientrano in questi progetti. Come ama ricordare “Puchi”, Hector riesce a riempire tutto il Madison Square Garden come pochi, ed ogni locale dove si esibisce è pieno all’inverosimile. La sua voce incanta, mette brividi, fa ballare. La gente lo ama, anche se lui non se ne rende conto. L’urbanizzazione delle città sudamericane, la forte alluvione migratoria dei “latinos” verso l’America e la conseguente nascita di ghetti metropolitani (i barrios) fanno della Salsa un fenomeno “de la calle” in cui Hector si muove bene in tutta la sua complicata esistenza artistica. Il cantante portoricano diventa pioniere nel ridefinire la musica latina in quegli anni. Lavoe, che ha la capacità di unire la tradizione sudamericana alla cosiddetta street music, non riesce alla fine a gestire gli ostacoli quotidiani e personali. La metà degli anni Ottanta, del resto, coincidono con il momento peggiore della sua vita: dalla morte di suo padre, a quella del figlio fino alla positività all'Aids. Dopo l'ascesa iniziale, la fama e il denaro, sprofonda nel male peggiore, la droga. Nonostante tutto il matrimonio continua. Hector Lavoe ha contribuito alla nascita e diffusione della salsa in tutto il mondo. Forse bisognava essere maledetti per inventare grandi sonorità. Certamente ha scelto la strada più breve, quella che conduce alla morte. Resta la sua storia, la sua musica ballabile che emoziona. Un genio sregolato che avrebbe meritato una sorte diversa.

 

Commenti

Taranto. Mercato: l’”affaire” portiere e la bella gioventù
Il punto sulla serie A - 27/04/2015