STORIA DEL DIALETTO TARANTINO/ L'OTTOCENTO

15.11.2013 12:45

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di Aldo Simonetti

Nel lungo percorso storico del nostro dialetto, l'Anno Domini 1839 rappresenta una tappa significativa.

Viene difatti steso “ 'U matremònije dè Rosa Palanca”, commedia in due atti, da un ufficiale di marina, tale Michele Scialpi: si tratta del primo monumento scritto in lingua tarantina. Rappresentato soltanto un secolo più tardi, su un 'remake' di Cataldo Acquaviva, a cagione del suo idioma difficilmente comprensibile. Se già ottant'anni or sono il dialetto impiegato dallo Scialpi risultava poco intelligibile alle orecchie degli auditori, figurarsi oggigiorno. E' pur vero, tuttavia, che le strutture linguistiche che vi compaiono sono pressochè le medesime. Diverso il problema per ciò che concerne il lessico, per taluni versi simile, per altri sconosciuto.

A tal proposito, ecco di seguito riportato uno stralcio della succitata opera teatrale, ovvero i primi versi proferiti da Ciommo, il protagonista:

 

Catà, Catà, mo jeè ci mi fàce vutà li miròdde mèje. Ije tègne tanta filàte 'ncape ca mi ste ròzzile come na macìnele e l'uècchije mè fàcene sciele-sciele: sto stràcque e strùtte come a nù ciùccije”.

 

Al di là delle difficoltà di traduzione, nelle quali chiunque potrebbe incappare, questo estratto risulta interessante ai fini della nostra ricerca.

Si nota, anzitutto, la presenza di termini quali miròdde, filàte, macìnele, ròzzile, stràcque e strùtte, evidentemente estranei al tarantino contemporaneo, o quantomeno, stentatamente decifrabili. Nel caso di miròdde (dal latino 'merulla'), il corrispettivo attuale è medòlle (di chiara matrice italiana), mentre per ròzzile si ha un ruzzelèsce (terze pers. singolare del verbo ruzzulàre) Per altri lessemi l'analisi si rivela alquanto interessante. Macìnele è parola caduta oramai in disuso, poiché indicante uno strumento per lavorare il cotone e un antico gioco locale; stràcque è forma originaria per stànche, mentre in strùtte (oggi, destrùtte)ha luogo un' apocope, ossia un particolare fenomeno linguistico che prevede la caduta della sillaba iniziale.

Si potrebbe procedere con l'analisi di ulteriori passi e sbizzarrirsi attraverso il raffronto tra la lingua di quasi due secoli fa e quella odierna, ma, per esigenze di spazio e tempo, non è questa la sede più opportuna.

Quella del commediografo non costituisce, tuttavia, l'unica testimonianza documentata della nostra lingua nel secolo XIX. A questa, infatti, vanno aggiunti i diversi contributi offerti dalla dialettologia scientifica (disciplina introdotta nell' Ottocento inoltrato da Graziadio Isaia Ascoli), mediante la registrazione scritta di voci ed espressioni, raccolte direttamente dalla bocca dei nostri vecchi concittadini.

Ancora, grosso 'auxilium' è quello apportato da Ludovico De Vincentiis, autore del primo vocabolario del dialetto tarantino. Pubblicata nel 1872, l'opera del religioso rappresenta una preziosa banca dati 'ante litteram' di termini, espressioni e particolarità fonetiche (quantunque, stando alla testimonianza dell'Acquaviva, lo stesso provasse sovente ripugnanza, viste le sue origini aristocratiche, nei confronti del linguaggio del popolo). Infine, ad arricchire il patrimonio scritto del periodo, anche i componimenti di Emilio Consiglio, caposcuola della tradizione poetica dialettale nella città di Taranto.

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