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COSIMO FORNARO. IL MISTERO CHE SUPERA IL TOCCO DELLA RAGIONE. INCONTRO A TARANTO IL 27 SETTEMBRE

24.09.2014 09:35

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Lo snodo tra poesia e percorso narrante in Cosimo Fornaro, di cui si ricorderà la sua presenza letteraria nella temperie del Novecento il prossimo 27 settembre a Taranto, è dato dallo sviluppo di un linguaggio tutto metafisico. Una metafisica abitata, fino in fondo, dalla testimonianza sia umana che spirituale.

La sua poesia è il leggere il tempo della spiritualità con il vissuto e con i tasselli della memoria. Il suo narrare è recuperare la visione del centro nella individuazione del personaggio. Da Emiliana a Maria. La poesia è linguaggio lirico nel momento in cui la parola perde gli orizzonti e ritrova il senso.
Fornaro ci indica due percorsi. Il pensiero che diventa un archetipo di pensieri. Il silenzio che diventa un toccare i segni dell’altro in sottovoce. È un preludio il suo primo libro scavato oltre il porto sepolto. Pensieri sottovoce.
La preghiera è sempre un parlare – pensare rivelante sottovoce. La poesia, infatti, è una preghiera. Non ha teologia, ma mistero. Ha una sua sacralità tra i simboli che si raccolgono in una alchimia che tocca l’anima dello spazio che lega il labirinto al viaggio.

La parola, in Fornaro, è attrazione dell’attesa. Intorno a questi codici è possibile ricucire il tessere della tela della metafora nel tessuto della vita. Se Emiliana diventa un bisogno di ascoltare, nel viaggio intorno all’abitare la Magna Grecia, la spiritualità di una presenza forte, attraverso anche i luoghi, la figura di Maria è l’esemplarità del mistero che supera ogni tocco della ragione per farsi esilio della storia e diventare profezia nella speranza.

Pierfranco Bruni
La poesia è una offerta che ha come “costellazione” il mito. E oltre il mito che la terra e il mare di una geografia che ha tracce di infanzia e di giovinezza, ovvero di tempo in una metafora giocata tra il “luogo” e il “vivo”. Ma si tratta, comunque, di una metafora catturata da una dimensione reale. Un Luogovivo è un luogo che insiste nel nostro essere, ma questo nostro essere, in Fornaro, è la cesellatura che chiosa la pazienza.
Se non ci fosse la pazienza non ci sarebbe la capacità di leggere la profezia. Accanto a questi due confini che sono anche l’oltre insiste la provvidenza. Lo scrittore e il poeta nella cristianità si focalizza nella centralità, ritorna il concetto di centro, della Terra Promessa.
Ecco perché tra gli scrittori che hanno intrecciato il mito alla griglia simbolica del Mediterraneo – Magna Grecia (da Viola a Carrieri, da Spagnoletti a Pierri, da Tebano a De Giorgio) Cosimo Fornaro ha realizzato una intelaiatura, nel tempo del sublime, tra l’estetica della provvidenza e la volontà dell’orazione.
Come nei versi di Santa Teresa d’Avila l’orazione è il linguaggio dell’anima perché diventa il “castello” della solitudine,ma questo “castello” è la rivolta, sul piano della dialettica critica, del realismo magico in una inquietudine cristiana, Fornaro è nella generazione di Francesco Grisi, di Diego Fabbri, di Mario Pomilio che appartengono alla scuola di Mauriac e dei Papini del racconto di Cristo.
Le “orazioni”, lette come poesia dello spirito nello spazio – tempo, della “Teresina” sono spaginazioni teologiche per recitarsi come profezie e viaggi mistici. Ma la letteratura è un individuale misticismo.

Fornaro ha vissuto la letteratura e la parola della letteratura nello scavo del misticismo: dalla poesia al racconto di Maria in un (con un) cerchio che va da Dante a Pavese.


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