La danza sportiva nell'ultimo secolo
di Massimiliano Raso
In Italia, nel corso del XX secolo, un riconoscimento deliberato dal Coni ha ascritto la danza in un contesto sportivo le cui cifre sono di per sè già esemplificative: 4.500.327 atleti tesserati, 1.016.598 Operatori sportivi, 64.829 Società sportive, 45 Federazioni Sportive Nazionali, 19 discipline sportive associate, 15 Enti di promozione nazionali. (dati del Coni-Istat 2014). Com'è stato possibile associare la danza allo sport? Sul finire dell'Ottocento i maestri di danza hanno tentato di lottare contro l'impoverimento della danza di società. La monotonia del valzer e della ormai standardizzata quadriglia non rispecchia più l’esigente nuova generazione che cerca di sborghesizzare la società per orientarsi verso un nuovo ordine: ritornano le danze "comuni" del popolo e dell'infanzia. Nel XIX secolo, del resto, il ballo è ancora da considerarsi un'attività libera in cui "tutti possono ballare come credono e ciò che vogliono". Con l'inizio del Novecento notevoli cambiamenti vengono apportati dalle geniali sperimentazioni coreiche di Martha Graham, Mary Wigman, Doris Humphrey; la danza si proietta nel mondo contemporaneo con più certezze. In Francia, intanto, è incominciata la cosiddetta belle epoque, un’epoca storica caratterizzata da un periodo di euforia e frivolezza che si materializza anche nella cultura delle gare. Le cronache di allora, d’altronde, ricordano la data del 1909, in una Parigi centro promotore della danza dei grandi teatri. In Italia, i futuristi, in fermento anche nella danza, spingono in una visione in cui non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. Parallelamente s'innesca una sorta di "guerra di ballo" con un’altra grande “potenza”: l’Inghilterra. Ne scaturisce un business ante litteram dell’agonismo, a fronte anche delle numerose richieste di poter gareggiare. In un contesto societario “amorfo”, comunque, si tenta d’importare nuove danze dall’America con l’adozione di passi americani creoli e negri. Nel 1900 il one-step, nel 1903 il cakewalk, nel 1910 il tango, che s’ispira alla habanera cubana con i suoi passi incrociati e piegati. Nel 1912 il fox trot (trotto della volpe), e poi lo shimmy, il charleston dalle comiche contorsioni, il black-bottom che mescola giri e salti ed infine la rumba. Con l’introduzione nel vecchio continente di una serie di nuovi balli è possibile, con tutta tranquillità, affermare che il Novecento “ha riscoperto il corpo”, amato, sentito, venerato. Un vero e proprio processo di involuzione in cui si perdono o si fondono tendenze coreiche intercontinentali. A partire dalla seconda metà del XX secolo, ad ogni modo, complessi nascenti organismi legano il ballo sempre più allo sport, una su tutte l'IDSF, International Dance Sport Federation. Contestualmente vedono la luce danze tipicamente latinoamericane come il mambo, il chachacha, la salsa, il merengue, e ancora la kizomba, il twerking, la zumba, che confluiscono nelle decine di associazioni nel frattempo insediate in Italia in un’evoluzione le cui finalità iniziali rischiano di non essere più controllabili. In origine, i primi danzatori della storia sono stati gli animali che istintivamente si radunavano in cerchio per eseguire la danza del corteggiamento. Poi è toccato agli esseri umani a danzare grandi varietà di forme e movimenti tra ritualità e magia. Infine la competizione, la voglia di vincere e primeggiare ha preso il sopravvento sugli esseri umani. Difficilmente sarà possibile capire il confine tra sport e arte nella danza, sarebbe come capire il confine tra corpo e anima. Certamente danzare non è solo un'attività fisica, solo divertimento, solo forma di ginnastica che aiuta a dimagrire, a socializzare, a tonificare i muscoli. La danza va intesa, per i giovani fruitori del prossimo futuro, prima di tutto per esprimere emozioni, sentimenti, stati d’animo e continuare a raccontare quella una grande storia dell’umanità, di ieri, di oggi e di domani.
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