Francesco Seccarecci: "Ecco cosa penso di Victor Martinez"
Victor Martinez è sempre stato per me un simbolo di questo sport ed un modello per correttezza e presenza scenica, oltre ovviamente che per una fisicità straordinaria, ottimi disegni muscolari, qualità e posing. Ma questa, è un altra storia e su cui non mi soffermerò in questa occasione.
Il 2011 fu per lui un periodo molto sfortunato, che lo vide protagonista di una disavventura legale che lo costrinse a trascorrere diversi mesi in regime di reclusione nel penitenziario di Hudson, nel New Jersey, per un inconveniente burocratico legato al rinnovo del suo permesso di soggiorno negli USA. Un capo di imputazione che lo affossò commercialmente, fisicamente e psicologicamente.
Dalle luci dei migliori palchi al mondo, al buio, dal calore del suo tifo, al freddo di una stanza con sbarre e grate. Le tante domande senza risposta, la solitudine. Nessuno pensava che un giorno sarebbe tornato ad essere un atleta, né tanto meno ad essere l'atleta che era.
Nessuno lo pensava, tranne lui.
Questa triste vicenda fece seguito a ciò che il 38enne dominicano passó pochi mesi prima, nel 2009, quando si trovò a dover affrontare e fronteggiare ciò che di peggiore possa abbattersi su un essere umano.
Siamo a New York City in un afoso pomeriggio di luglio, quando Victor riceve una telefonata in cui gli viene comunicato che il corpo della sorella maggiore Eridania Rodriguez è stato ritrovato privo di vita nel grattacielo in Lower Manhattan dove lavorava, assassinata da un 25enne che al tempo lavorava nello stesso edificio come manutentore degli ascensori.
Eviterò i dettagli per non rischiare di urtare la sensibilità di nessuno.
Qualcosa di sconcertante ed inumano che oltre al devastate contraccolpo psicologico, pose un punto alla sua preparazione e sancì la ovvia rinuncia a tutti gli importantissimi impegni sportivi imminenti.
Ricordo che seguii con apprensione e tristezza le vicende di questo sfortunatissimo ragazzo, con mio fratello. Ad entrambi dispiacque tantissimo e ho stampata in mente l'espressione di Daniele davanti al PC, sconcertato nel vedere che bastonate sulle gambe la vita aveva potuto vigliaccamente infliggere a quest'uomo.
Due anni dopo, il ritorno in scena; tornava a calcare il velluto dei palchi PRO più importanti al mondo, apriva un ristorante di successo in centro città, ma soprattutto tornava alla vita, con grinta, caparbietà, speranza, per riprendersi il posto che gli era stato indebitamente sottratto e claudicare verso barlumi di rinascita dopo un periodo maledettamente nefasto.
Correva il 2013, ciò che successe lo sapete.
Torniamo a noi. Siamo a Rio e in questi giorni si sta svolgendo l'Arnold Classic.
Sono con il suo manager prima che entri in riunione, mi guarda da dietro i suoi occhialoni specchiati e con accento yankee che tradisce origini colombiane, mi dice:
"Fra, sai che c'è Victor? sta arrivando, tra 5 minuti è qui!".
Parlare con Martinez è stato pesante emotivamente e mi ha lasciato un grande strascico di tristezza, ma ne avevo bisogno e voglia da tempo.
Conosceva bene mio fratello grazie ad un amico Olandese in comune, oltre che per ragioni atletiche e di networking. Ne era legato, pur non essendo diretti amici.
Era/È una stima pulita, disinteressata.
Un ammirazione senza riserve.
Siamo stati insieme una mezz'oretta abbondante, nella hall dell'hotel, prima di rivederci il pomeriggio successivo nella Lounge area del suo stand.
Ciò che ci siamo detti lo custodirò per sempre, al pari del modo in cui si è congedato, parlandomi con occhi colmi di dolore.
Un abbraccio e la promessa di scriverci più spesso, anche solo per un "come stai?", che detto da chi ha attraversato con le tue stesse scarpe il tuo stesso inferno, la perdita della persona più vicina, ha un altro significato.
Vivere è Combattere e tu hai mostrato al mondo come si fa. Grazie Victor.
Francesco Seccarecci
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