DIARIO DI UNA TARANTINA: "LA LISTA DELLA DISCORDIA..."
E mi metto a contare: ‘B01 – B02 – B03’, ecc…la mia torre preferita è l’ultima che ho citato, la B03…forse perché ha il numero della Trinità…il Dio Padre, lo Spirito Santo e il Cristo in Croce. La osservo seduta in silenzio , mentre sfila davanti ai miei occhi insieme alle altre e sparisce quando il treno proveniente da Bari curva lievemente a sinistra e s’inoltra tra i binari della stazione di una città morta, da cui molti sono andati via e altri sperano di allontanarsi, anche se poi, non lo faranno mai. Siena ha la sua ocra rossa, Taranto ha la sua polvere, del medesimo colore, che ricopre tutto ciò che si ritrova a ridosso dell’Ilva, anche la stazione. Una suggestione è diventata questa città, una foto polverosa, color ruggine, uscita da un filtro tutto particolare, fatto di innumerevoli minerali. Taranto è anche un’attesa infinita. Si attende il posto di lavoro, l’autobus alla fermata che non passa mai, che l’amministrazione raccolga prima o poi il malcontento e il desiderio di riscatto di tutta una città…si attende di terminare gli studi e andare via e che lo scirocco, che increspa i capelli delle femmine tarantine e che rende i movimenti lenti e i pensieri più pesanti, lasci spazio alla tramontana.
Questa è Taranto, la città dei due Mari, la città con le viscere murate: un lungo ‘nastro’ di tufo vecchio di cent’anni la divora dall’interno, la costringe a nascondere ciò che di bello ha da mostrare…il suo mare. Il ‘nastro’ è il Muraglione, che ha permesso alla gloriosa Marina Italiana di appropriarsi di molta parte dello sbocco su Mar Piccolo. La città è sotto assedio, non si è mai liberata, sono cambiati i padroni, le epoche, ma Taranto, questa grande vacca da cui tutti hanno succhiato il latte, giace esanime e priva di voce. Un giorno…credo mi trovassi nei pressi di Vinci, in Toscana, per intenderci, la cittadina che diede i natali al grande genio rinascimentale, un mio amico australiano - non me ne voglia se racconto questo aneddoto - mentre gustava una piatto di verdure e mentre io mi intrattenevo col titolare del piccolo locale di prodotti tipici pugliesi a parlare della ‘cozza pelosa’ e dei ricci di mare, mi informò che qualche tempo prima, aveva letto sul ‘New York Times’, il quale aveva stilato una lista del tutto particolare, che ‘Tarde Nuestre’ fosse la città del mondo più brutta in assoluto.
Nonostante mille volte, avessi sottolineato i difetti della nostra beneamata città, mi sentii, in quel momento punta nell’orgoglio e lasciando da parte i discorsi su le ‘cozze racanate’ e gli ‘gnumareddi’ rabbiosamente chiesi chi fosse il giornalista che aveva osato sputare tanto malanimo su Taranto, che forse negli USA non hanno città orrende? Risposi stizzita...in quel momento mi veniva in mente Detroit, anche se non c’ero mai stata e in realtà non posso sapere quanto sia orrenda…Si accese una discussione, ma non di quelle sanguigne e focose che solo noi Tarantini e pochi altri in Italia sanno inscenare, si giunse dunque, all’unanime convincimento che il giornalista avesse voluto vedere solo ciò che gli faceva comodo e che forse del mare di Taranto non aveva sentito nemmeno l’odore. Carissimi, al di là di ogni sentimentalismo insito nella sottoscritta, giustificato anche dall’incedere dell’età, approfitto della possibilità che mi viene data, per invitare tutti ad essere parte attiva del riscatto di questa città, di desiderarlo, di anelarlo fortemente, ognuno secondo le proprie possibilità, di alzare la testa e di denunciare l’estremo degrado ambientale e sociale di Taranto. La città non ha bisogno di divisione, ma di coesione profonda; comprendere che la salute, il lavoro, l’ambiente, la cultura, sono interessi comuni a tutti noi, significa guardarsi in faccia gli uni con gli altri, assumersi ciascuno le proprie responsabilità e rimboccarsi le maniche per fare in modo che Taranto non slitti più in fondo alle classifiche di nessun giornale del mondo.
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